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venerdì 29 agosto 2014

Pratiche Filosofiche ... un nuovo inizio del blog



Pratiche filosofiche ….

Il blog cambia nome e pelle. Quella pratica di comunicazione rivolta ad allievi per consigliare letture o link o avvenimenti, poco seguita da me, e dunque anche da loro, è in gran parte esaurita o inutile … per questo ho deciso che lo spazio virtuale del blog debba essere occupato da altro … riflessioni e meditazioni affidate a una bottiglia nel mare del web ...
Il cambiamento del nome della pagina è in qualche modo accattivante, echeggia slang modaioli: le pratiche filosofiche, sia nel senso delle consulenze alla Achenbach, sia nel senso dei rinnovati “esercizi di filosofia” (antica, o perenne, per seguire Hadot; senza connotazioni temporali – o meglio contemporanee, nel senso di “connesse ad ogni tempo” -, per seguire Sloterdijk) stanno tornando in auge. Ma … sia detto senza alcuna seconda intenzione, che la filosofia fosse essenzialmente una “prassi” lo sostengo sin dai tempi della mia formazione accademica, quando il progetto di vita era di professare filosofia non solo o non tanto nei licei, ma in quel livello di esercizio (l'accademia, appunto) in cui la teoria è tutto e la pratica filosofica è tutt'al più pratica dello studio di qualche filosofo o di qualche tematica filosofica. Il rimando, si licet, è ad un mio saggio del 1989, su “Azione, attività, atto” (tra l'altro pubblicato su una rivista che si chiamava “Teoretica”), in cui scrivevo: “interrogarsi filosoficamente sulla struttura dell'attività significa anche interrogarsi sulla struttura di quell'attività che è l'interrogazione filosofica” … ma che la filosofia sia essenzialmente un interrogarsi e un domandare è un leit motiv che risuona dai tempi di Socrate e dei suoi allievi sino ad oggi … e interrogarsi e domandare sono appunto “pratiche”.
E allora viene subito da domandarsi perché filosofia e domandare siano strettamente connessi, sin dai tempi di Socrate … Ma già questo è un esercizio, una pratica che si inviterà a svolgere ...

Ora, questo spazio pubblico, ospiterà descrizioni e indicazioni, spunti di esercizi filosofici (vedremo via via quali ne sono gli obiettivi specifici, come si fa per quelli ginnici, oggi molto più seguiti), che, ovviamente, sono stati tutti sperimentati in prima persona dall'autore, altrimenti non avrebbe senso neanche il proporli ad altri (non si deve “legare sulle spalle degli altri” pesi che chi lega non è disposto a portare o non ha portato). A tranquillizzare i più e con un po' di presunzione (ancora, si parva licet …) “il mio giogo è leggero” (il correttore di 'office' correggeva in “gioco”, la citazione sarebbe stata impropria, ma il concetto non sarebbe stato molto distante, e uno tra i prossimi esercizi proposti sarà proprio quello di riflettere sul nesso gioco-giogo).

Qualche anticipazione va pur data … è un topos dire che la filosofia è quella pratica intellettuale che si occupa delle questioni di “senso” e sul senso della totalità. Una formula molto efficace che usava M. Gentile (uno dei capiscuola della linea accademica in cui mi sono formato) è quella che identifica la filosofia come “quel domandare tutto che è tutto domandare”; ora, mentre con Heidegger di Essere e tempo, non si può fare a meno di rimarcare che mentre ci si interroga sul tutto (o sull'essere, non è ancora il tempo e lo spazio per questo esercizio) non si può fare a meno di interrogarsi su chi è che si interroga … vale la pena di dire che chi si interroga non è un generico “esser-ci” o un generico uomo, ma un determinato essere umano [non mi risulta che altre forme di intelligenza non umane abbiano prodotto qualcosa di assimilabile a quella che chiamiamo “riflessione filosofica” … almeno per ora!]
La pratica della riflessione filosofica è qualcosa che chi pratica pratica in prima persona … de te fabula narratur (Orazio)… ma di questo più avanti, in altro esercizio …

E allora avviamo pratiche ben sapendo che dobbiamo condurre queste pratiche “in prima persona” (sia singolare sia plurale, … come avremo modo di vedere più avanti, il domandare filosofico è strutturalmente dialogico, anche quando è meditazione individuale ...)


1. Le pratiche filosofiche e il “climaterio della civiltà”

O meglio, soluzione di una prima obiezione alla riproposizione di “pratiche filosofiche”.
Oswald Spengler ebbe a scrivere, nel suo monumentale, e per molti versi, fonte di utilissimi “esercizi filosofici”, Il tramonto dell'Occidente (tr. it. ed. Longanesi, 1981, p. 539), che la stessa svolta nietzscheana verso la consapevolezza dell'arte di vivere, era da collocare nel trapasso dalla Kultur (Civiltà) alla Zivilisation (Civilizzazione) anche della nostra forma occidentale (che sta per l'appunto tramontando), e dunque come un segno del “climaterio della civiltà”, un chiaro indice di senescenza e di decadimento.
La trasformazione della concezione della filosofia da volontà di comprensione di tutto ciò che è in quanto è, per parafrasare la definizione aristotelica di filosofia prima, a pratica “terapeutico-farmaceutica”, anche se con illustri predecessori (Epicuro e il suo farmaco “tetra-valente”) sarebbe un chiaro sintomo di una forma di vita e di concezione del mondo che rinuncia definitivamente alla sophia e si rifugia in una più modesta e consolatoria phronesis.
Sarà che recenti studi su Aristotele – il padre del bíos theoretikòs - tendono a dire che anche nello Stagirita (come pure nel suo maestro Platone) il “primato” spetterebbe all'etica o alla politica, a quelle che lui chiamava “scienze pratiche” (rimando alla recensione che Maria Bettetini ha fatto ad una raccolta di saggi a cura di C. Baracchi, comparsa sul domenicale del Sole 24 ore il 20 luglio u.s., ed esplicitamente titolata “prima l'etica poi la metafisica”). Sarà che nei due testi chiave (la “filosofia prima” o “metafisica”, e l'Etica a Nicomaco il nostro tende a far coincidere somma conoscenza con somma felicità: “la felicità è attività conforme a virtù” (Etica Nic, X, 7, 1177a13) ed è ciò che – come la sophia, la virtù somma per gli esseri razionali - “si desidera per se stessa”.
Sarà che anche altri (e per tutti cito Agostino, De civitate Dei, XIX,3 “nulla est homini causa philosophandi nisi ut beatus sit”: l'uomo si dedica alla filosofia perché desidera la beatitudine, qualcosa di più della felicità, quella pienezza del vivere (olbios) cui non manca nulla. Ora se questo invece che divino sia luciferino, demoniaco, tracotante (citando Fichte che nella lettera a Jacobi dell'agosto 1795 diceva: cominciammo a “filosofare per orgoglio” [Hybris?], e perciò abbiamo perso la nostra innocenza … “da allora noi filosofiamo per il bisogno della nostra salvezza”.
Già qui si profila un nesso da indagare, presto: quello tra filosofia e desiderio … ma non ora.

  1. Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Indicare, come fa Spengler, la declinazione terapeutica della filosofia (ridotta a farmaco) come segno della senescenza di una forma di Kultur lascia intendere che la forma sana e vitale della pratica filosofica sarebbe quella della teoresi volta a comprendere ciò che è per come è o, tutt'al più, alla Hegel, “apprendere il proprio tempo nel pensiero”. Ora, nella definizione hegeliana la filosofia si propone metaforicamente come “nottola”, ossia come animale che comincia la propria attività (“sorge”) sul far della sera, ossia quando gli eventi di cui sarà comprensione sono già accaduti. Allora la filosofia è inevitabilmente postuma? Ha la stessa valenza dell'anatomo-patologo nella vecchia barzelletta goliardica degli studenti di medicina:
“I medici si dividono in tre categorie: a) quelli che vedono tutto anche se non sanno niente; b) quelli che sanno tutto anche se non vedono niente; c) quelli che sanno tutto e vedono tutto … peccato che arrivano troppo tardi ! [dove a) sono i chirurghi, b) gli internisti, c) gli anatomo-patologi]”

Ora la modernità ha cercato di separare anche nella filosofia i chirurghi (gli ideologi, quelli che dopo una sommaria diagnosi del “male” si proponevano di rimuoverlo”) dagli internisti, tutti concentrati su come poter diagnosticare al meglio e perciò totalmente concentrati sul problema gnoseologico ed epistemologico, ritenendo impossibile, dopo Hegel e “la morte per apoteosi della filosofia classica” (secondo l'efficace formula della D'Agostini), una comprensione della totalità in grado di orientare anche l'esistenza del singolo.
Ma di un mondo gettato a caso, come nella spazzatura, si sente sempre e comunque il bisogno di trasformarlo nel migliore dei mondi possibili o vivibili, quantomeno (parafrasando Nietzsche che parafrasa Eraclito)


Nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per praticare la filosofia, perché nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per la felicità … (Epicuro, Lettera a Meneceo), … ma di questo alla prossima puntata. (continua)